Le proprietà antimicrobiche dell’argento erano note già nell’antichità: i Fenici conservavano l’acqua in bottiglie rivestite d’argento per prevenirne la contaminazione. La Chiesa optò per calici di argento per prevenire malattie e nella seconda metà dell’800 furono salvati molti neonati dalla cecità utilizzando soluzioni di nitrato di argento per evitare la trasmissione della Neisseria gonorrhoeae, batterio Gram-negativo, dalle madri infette ai bambini durante il parto.
Nel 1893 fu comprovata l’attività antibatterica di alcuni metalli e tale proprietà fu detta effetto oligodinamico. Successivamente fu scoperto che tra tutti i metalli quello che mostrava la maggiore proprietà antibatterica era l’argento che inoltre aveva la tossicità minore che quindi venne adottato in campo medico ed in particolare ai soldati della Prima Guerra Mondiale che venivano feriti per minimizzare la crescita microbica.
Con la scoperta degli antibiotici l’utilizzo dell’argento quale agente antimicrobico diminuì drasticamente ma la presenza di ceppi batterici resistenti agli antibiotici ha portato a un rinnovato interesse nei confronti dell’argento.
Solo negli ultimi anni la disponibilità di tecnologie innovative come l’uso degli isotopi radioattivi e la microscopia elettronica ha consentito di poter studiare il meccanismo di azione dell’argento quale antibatterico. Vi sono varie ipotesi relative al meccanismo di azione dell’argento come antibatterico
Meccanismo di azione
Si ritiene che l’argento si leghi ai gruppi tiolici –SH presenti negli enzimi causandone la disattivazione: l’argento forma legami stabili S-Ag con i composti contenenti i gruppi –SH presenti nella membrana cellulare che sono coinvolti nella produzione di energia e nel trasporto di ioni. L’argento inoltre potrebbe prendere parte alle reazioni di ossidazioni catalitiche che portano alla formazione di legami disolfuro R-S-S-R. La formazione dei ponti disolfuro catalizzata dall’argento quindi porta alla variazione della struttura degli enzimi influenzandone la loro funzione.
In un altro dei meccanismi suggeriti relativo all’attività antimicrobica dell’ argento è stata proposto che lo ione Ag + entri nella cellula e si intercali tra le basi complementari purina e pirimidina con conseguente denaturazione della molecola di DNA . Anche se questo è ancora da dimostrare, è certo che gli ioni argento si associano con DNA una volta entrati cellula.
La maggior parte dei meccanismi proposti prevede comunque che l’argento entri nelle cellule danneggiandole e si ritiene che, per far ciò, possa avvalersi delle proteine di membrana che hanno, tra l’altro, la funzione di trasportare le molecole attraverso la membrana per mezzo di pori, canali ionici, pompe ioniche o carrier specifici.
Per poter espletare le sue attività antimicrobiche l’argento deve trovarsi in forma ionica come, ad esempio sotto forma di nitrato di argento o in una matrice zeolitica o sotto forma di nanoparticelle. Queste ultime destano particolare interesse per la loro facilità di produzione nonché per l’elevata azione antimicrobica e la possibilità di poter aderire a moltissimi prodotti quali maschere chirurgiche, fibre di cotone e tubi endotracheali.
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