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"il tutto si crea e il tutto si trasmuta….la trasformazione è solo un'eccezione"

Ogni atomo ponderabile è differenziato da un fluido tenue, che riempie tutto lo spazio meramente con un moto rotatorio , proprio come fa un vortice di acqua in un lago calmo. Una volta che questo fluido – ovvero l’etere – viene messo in movimento, esso diventa grossolana materia. Non appena il suo movimento viene arrestato la sostanza primaria ritorna al suo stato normale...

Nikola Tesla


venerdì 23 febbraio 2018

Noi utiliziamo la chimiurgia per fabbricare i nostri detergenti bio !

Cosè la Chimiurgia?

Chemiurgia (Chemurgy in inglese, dal greco chemeia «chimica» ed ergon «lavoro») è un termine nato in America negli anni trenta per definire quella branca dell'industria e della chimica applicata che si occupa della preparazione dei prodotti industriali esclusivamente da materie prime agricole e naturali, facendo uso solamente di risorse rinnovabili e senza recare danno all'ambiente.
La parola fu coniata dal chimico William J. Hale, che nel 1934 pubblicò il libro The Farm Chemurgic, per indicare «l'ottenimento di sostanze chimiche industriali dai prodotti agricoli».


Negli anni trenta, di fronte all'avanzare della rivoluzione industriale, il movimento della Chemiurgia si proponeva di trasformare ed integrare la produzione agricola con quella industriale, invece di abbandonare l'agricoltura a se stessa indirizzando tutti gli investimenti sull'industria. La chemiurgia puntava dunque ad usare prodotti vegetali, in particolare la canapa, pianta coltivata e diffusissima in America fino al suo proibizionismo, che era in grado di fornire all'industria grandissima parte delle materie prime di cui necessitava e che oggi si ricavano in gran parte dalla lavorazione del petrolio.




« Perché consumare foreste che hanno impiegato secoli per crescere e miniere che hanno avuto bisogno di intere ere geologiche per stabilirsi, se possiamo ottenere l'equivalente delle foreste e dei prodotti minerari dall'annuale crescita dei campi di canapa? »


Restava però ancora un pesante handicap per rendere la produzione di cannabis davvero competitiva. Il lavoro di separazione della fibra infatti andava fatto a mano, e questo rallentava notevolmente i tempi e i costi di produzione. L'invenzione di una nuova macchina, il "decorticatore", sembrò poter togliere questa barriera alla produzione industriale della cannabis, e delle altre fibre tessili ricavate dal fusto delle piante, prospettandone un successo pressoché illimitato. La rivista Popular Mechanics pubblicò in quei mesi un articolo intitolato "La nuova coltivazione da un miliardo di dollari", nel quale si prospettava uno strepitoso rilancio a livello mondiale delle piantagioni di cannabis.[4]
Tuttavia queste premesse non poterono essere confermate, a causa delle leggi di proibizione che già nel 1937 vennero applicate alla coltivazione e al commercio della cannabis.
Alcuni ritengono che la proclamazione di queste leggi di proibizione nei confronti della cannabis negli Stati Uniti sarebbe stata legata alla concorrenza tra la nascente industria petrolchimica dei prodotti DuPont e la possibilità di usare l'olio di questa pianta per produrre fibre plastiche e come combustibile, ed altresì alla concorrenza della nascente industria della carta ricavata dal legno degli alberi, sminuzzato e sbiancato con sostanze chimiche, con la eventuale produzione industriale di carta di canapa.[5] Inoltre, il magnate del giornalismo William Randolph Hearst, uno dei più importanti sostenitori del proibizionismo della cannabis proprio con i suoi quotidiani, aveva acquistato milioni di ettari di foresta da legname, che intendeva utilizzare per produrre carta appunto per i suoi giornali, sempre più popolari.[6]
I principi della chemiurgia sono tornati alla ribalta negli ultimi anni, trattati con approcci diversi e soprattutto identificati con nuovi nomi, come nel caso della chimica verde.





MATERIE PRIME DI ORIGINE AGRICOLA COME FONTE DI APPROVVIGIONAMENTO PER L'INDUSTRIA

Ottilia De Marco
Professore emerito, Università di Bari



La biomassa vegetale ha fornito da sempre materie prime all'industria alimentare, tessile, navale, edilizia, cartaria, dell'arredamento ecc.

Con l'avvento dell'industria petrolchimica e l'affermazione sul mercato di altri materiali, alcune di tali industrie hanno tratto da altre fonti le loro materie prime, lasciando l'industria alimentare come sbocco prevalente della produzione vegetale. Il settore agricolo, d'altra parte, ha fatto troppo poco per incentivare e sviluppare l'uso dei suoi prodotti e sottoprodotti come materie prime industriali, pertanto si è avuta una stasi negli studi e nelle ricerche su queste sostanze.

Così, mentre le conoscenze nel campo petrolchimico e dei nuovi materiali si sono ampliate e approfondite, quelle riguardanti i prodotti vegetali sono ancora molto lacunose. Eppure le ricerche su questi argomenti oltre ad essere stimolanti per il fascino che sempre esercita la possibilità di scoprire i meccanismi di formazione dei prodotti della natura e le leggi che li governano, suscitano interesse sia per l'enorme disponibilità di tali materiali, sia per le applicazioni pratiche che da una loro profonda conoscenza possono derivare.

Ogni anno, col processo fotosintetico, vengono fissati sulle terre emerse circa 100 miliardi di tonnellate di carbonio, per circa due terzi sotto forma di materiali lignocellulosici e per circa un terzo sotto forma di amido, zuccheri e altre sostanze.

Nel passato, in un periodo di crisi, ci fu, negli Stati Uniti, un breve, ma intenso interesse per la trasformazione dei prodotti naturali in prodotti industriali. Agli inizi degli anni venti, infatti, William J. Hale, un chimico della Dow Chemical Co., lanciò un vasto movimento sociale, denominato Farm Chemurgic Movement, che aveva come obiettivo l'utilizzazione, nell'industria chimica, di materie prime derivanti dall'agricoltura.

Il termine chemurgia fu coniato dallo stesso Hale, dal greco chemeia (chimica) ed ergon (lavoro), per indicare l'ottenimento di sostanze chimiche industriali dai prodotti agricoli.

Il movimento attrasse l'attenzione e l'interesse di molti uomini importanti, a livello politico come Henry Wallace (ministro dell'agricoltura nella prima amministrazione Roosevelt, 1933), a livello industriale come Henry Ford e, a livello intellettuale come George Washington Carver (1865-1943), che si impegnarono a fondo in questa operazione. Molte idee nuove furono realizzate e molti studi furono condotti, nei settori più vari.

Negli anni trenta del Novecento, presso il Dipartimento dell'agricoltura degli Stati Uniti, furono istituiti quattro laboratori "chemurgici" regionali che divennero i maggiori centri di ricerca e di applicazione dei prodotti e sottoprodotti agricoli, soprattutto di quelli più ampiamente disponibili o dei quali si registravano regolarmente o stagionalmente delle eccedenze.

Henry Ford, oltre a finanziare i primi Convegni del National Farm Chemurgic Council, istituì a Dearbon, vicino a Detroit, un centro di ricerca sui prodotti agricoli, chiamato Edison Institute of Technology: uno dei primi e più importanti programmi di studio fu quello riguardante la soia .

Fra le realizzazioni della chemurgia va ricordata la produzione del furfurolo dalla pula di avena nello stabilimento di Omaha (Nebraska) della Quaker Oats; quando lo stabilimento fu chiuso, in seguito alla crisi del 1932, la riapertura fu determinata proprio dalla domanda di furfurolo e non da quella di farina di avena.

Altro esempio di applicazione industriale, dovuta alle ricerche effettuate in campo chemurgico, fu quello dell'uso del legno del pino meridionale per l'ottenimento di alfa cellulosa, sulla base degli studi condotti da Charles H. Herty. L'impiego di questa pianta portò alla nascita e allo sviluppo, nella parte meridionale degli Stati Uniti, dell'industria della cellulosa e della carta che precedentemente era accentrata nel nord e nord est del paese, alimentata con piante a crescita più lenta.

Questo fervore di idee e di iniziative fu interrotto dallo scoppio della Il guerra mondiale. In seguito, l'ampia disponibilità di petrolio a prezzo molto basso fece apparire economicamente poco conveniente l'utilizzazione di prodotti agricoli per l'ottenimento di sostanze chimiche industriali. Negli anni settanta del Novecento la crisi dell'energia e delle risorse e il degrado ambientale sembrarono riportare l'interesse verso la ricerca di nuove materie prime meno costose, più disponibili e suscettibili di trasformazione in merci meno inquinanti. Si cominciò a guardare con una certa attenzione alle fonti naturali, rinnovabili, alla cosiddetta biomassa. Da allora, però, pochi settori, come ad esempio quello della produzione dell'alcol per fermentazione e della sua utilizzazione come carburante, sono stati oggetto di studio e di sperimentazione industriale.

Il lavoro che resta da fare è perciò ancora molto e l'impegno di ricerca, che dovrebbe essere interdisciplinare, potrebbe portare a risultati di enorme interesse in vasti settori economici. Si indicano qui di seguito alcune linee di ricerca rivolte all'approfondimento delle conoscenze di base dei materiali vegetali, in vista di una loro migliore utilizzazione industriale.

Amido

L'amido è uno dei più abbondanti materiali vegetali: per fotosintesi se ne producono circa 50 miliardi di tonnellate l'anno, ma la produzione di amido industriale, nel mondo, si aggira, soltanto, intorno ai 20 milioni di tonnellate l'anno. È ricavato per il 75% dal mais e per il resto da grano, riso, patate, tapioca ecc.

A seconda della specie o della famiglia da cui proviene, esso presenta caratteristiche diverse tanto che si deve parlare dell'esistenza di "amidi" (al plurale), piuttosto che di amido. Una rassegna delle caratteristiche degli amidi presenti nei vari vegetali, con particolare attenzione alle piante che sono state finora poco utilizzate come fonti industriali di amido, potrebbe rappresentare un interessante argomento di ricerca. Sulla base dei risultati si potrebbe giungere ad una vera classificazione degli amidi e ad una eventuale loro più specifica utilizzazione.

Un secondo argomento di ricerca potrebbe essere lo studio dei complessi molecolari amido-lipidi e amido-proteine, presenti nelle diverse piante. La conoscenza della natura di questi complessi potrebbe fornire forse anche la spiegazione di certi fenomeni, come ad esempio, il rinvenimento del pane raffermo o il diverso comportamento alla macinazione del grano, del granoturco e del riso.

Sarebbe inoltre interessante approfondire la conoscenza del rapporto amilosio/amilopectina, i due costituenti dell'amido, il cui contenuto di solito è del 15-30% per l'amilosio e del 70-85% per l'amilopectina, ma che può variare nelle diverse piante con conseguente modificazione delle caratteristiche dell'amido.

Derivati importanti dell'amido sono, come è noto, le destrine e le ciclodestrine che, a secondo della loro provenienza o del loro processo di preparazione, manifestano proprietà particolari che le rendono adatte a varie applicazioni (come adesivi, emulsionanti, leganti, assorbenti ecc.) in settori merceologici diversi (alimentare, tessile, cartario, metallurgico ecc.).
Una ricerca approfondita sulla struttura di queste sostanze, di cui si sa ancora molto poco, potrebbe fornire suggerimenti per un impiego più vasto.

Zuccheri

Fra gli zuccheri, sostanze ampiamente diffuse in natura, il più commercialmente usato, come è noto, è il saccarosio che viene estratto principalmente dalla canna e dalla barbabietola e il cui impiego prevalente è quello alimentare.

Il valore potenziale del saccarosio come materia prima per l'industria chimica è stato spesso oggetto di ricerca, ma le applicazioni pratiche sono ancora molto limitate. La sua struttura chimica di alcol poliidrato favorisce reazioni selettive a seconda del gruppo idrossilico, primario o secondario, e a seconda della posizione di questo nella molecola. Generalmente i gruppi idrossilici primari sono i più reattivi. La differente reattività dipende anche da altri fattori come il tipo di solvente che si usa, il tipo di reazione, la temperatura ecc.

Tutto questo consente molteplici sostituzioni e una potenzialità di derivati quasi infinita. Del saccarosio sono noti alcuni esteri, eteri, acetali e uretani anche se le conoscenze di tali derivati sono ancora scarse. I gruppi idrossilici primari possono essere ossidati ad aldeidi o ad acidi carbossilici e i gruppi idrossilici secondari a chetoni. I gruppi idrossilici possono essere sostituiti anche da idrogeno, da alogeni, da tiocianati, da tioacetati o da altri gruppi monovalenti.

Nonostante queste ampie possibilità di produzione, i derivati del saccarosio che hanno finora avuto un sia pur limitato interesse, anche dal punto di vista commerciale, sono stati gli esteri che hanno trovato utilizzazione come sostanze tensioattive ed emulsionanti nell'industria dei detergenti, dei cosmetici e in quella alimentare.

Anche derivati di altri zuccheri come il sorbitolo e il lattitolo (alcoli ottenuti per idrogenazione catalitica, rispettivamente, del glucosio e del lattosio), esterificati con acidi grassi, hanno mostrato buone proprietà detergenti disperdenti e umettanti.

Il campo di indagine nel settore degli zuccheri è ancora molto vasto e può riservare interessanti successi. Non sono stati qui presi in considerazione, ad esempio, tutti i processi basati sulla fermentazione la cui tecnologia, per certi prodotti, è già nota perché ampiamente usata prima dell'avvento della petrolchimica, ma che andrebbe, tuttavia, approfondita e sviluppata.

Grassi

Un'altra possibile fonte di materie prime per l'industria chimica sono i grassi. Essi sono già usati nell'industria dei saponi e dei cosmetici e trovano buona applicazione nell'industria dei detergenti, per la produzione di acidi grassi, "alcoli detergenti", metilesteri e loro derivati, sostanze intermedie per l'ottenimento di tensioattivi.

La potenzialità d'uso dei grassi è però molto grande. Già nel periodo chemurgico e durante la Il guerra mondiale sono stati impiegati per la produzione di idrocarburi e di oli combustibili.
I grassi, come del resto quasi tutte le sostanze naturali, si differenziano a seconda della loro provenienza ed esplicano particolati proprietà. Così l'olio di lino presenta proprietà siccative, quello di ricino proprietà lubrificanti per i motori. La presenza in quantità elevata di acido erucico nell'olio di crambe lo rende adatto a fornire un lubrificante specifico per i convertitori ad ossigeno, usati per la trasformazione della ghisa in acciaio. L'olio di jojoba, per la sua composizione di estere di un acido grasso con un alcol grasso, è risultato un valido sostituto dell'olio di capodolio, tradizionalmente usato come lubrificante e ormai molto raro sul mercato.

Indagare sulle caratteristiche dei grassi, presenti nei semi o nei frutti delle piante più comuni, ma soprattutto di quelle meno diffuse o di recente coltivazione, può essere un altro importante impegno scientifico per i ricercatori.

Proteine

Le proteine, molecole complesse fondamentali alla vita, costituiscono una buona parte del contenuto cellulare delle piante e degli animali.
Molte delle tecnologie tradizionali dipendono dalle proprietà delle proteine. La bontà del pane è legata alla presenza, nelle farine, del glutine che serve a formare un reticolo elastico che trattiene l'umidità e il gas e rende il pane soffice e fragrante. Anche i sapori e gli odori dei cibi dipendono, spesso, dal comportamento delle proteine durante la cottura.
La struttura delle proteine è molto complessa; molti studi sono stati condotti e i risultati più importanti si sono avuti a partire dagli anni '40, ma soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. Tuttavia, le combinazioni con le quali i 20 aminoacidi, presenti nelle proteine, possono legarsi fra loro sono COSI numerose e tali da rendere ogni molecola proteica unica; varrebbe la pena, perciò, di approfondirne la conoscenza.
Nel periodo chemurgico la parte solubile in alcol del glutine di mais, la zeina, trovò applicazione industriale per la produzione di vernici e di fibre tessili. Altri tentativi, in seguito, per l'ottenimento di fibre tessili, sono stati fatti con le proteine della soia e delle arachidi. Il prodotto è risultato poco soddisfacente e la tecnologia è stata utilizzata poi per l'ottenimento di carne di soia.
Recenti ricerche suggeriscono l'impiego di proteine per la preparazione di sostanze tensioattive e di materie plastiche.

Lignocellulosa

Il materiale lignocellulosico è uno dei derivati della biomassa impiegato quasi esclusivamente nell'industria, soprattutto nell'industria delle costruzioni e dell'arredamento e in quella della cellulosa e carta.
Questo materiale, tratto per la maggior parte da alberi di alto fusto, può essere ottenuto anche da residui di altre piante minori che spesso vengono trascurati. È un materiale complesso in cui sono presenti oltre a cellulosa, lignina, emicellulosa, altre sostanze come acidi grassi, resinici, tannini, gomme ecc.
Nell'industria della carta, durante la preparazione delle paste al solfito e al solfato, si ha come sottoprodotto il lignosulfonato, una miscela di lignina sulfonata, di zuccheri, di acidi degli zuccheri, di resine e di sostanze chimiche inorganiche.
Il lignosulfonato è un'importante materia prima usata per la produzione di vanillina ed è suscettibile di altri impieghi in vari settori industriali: come tensioattivo nell'industria dei detergenti, come legante per pellets, come additivo nei cementi ecc.
Durante la lavorazione della pasta al solfito e al solfato, quando si usa legno di pino; dalla soluzione che si ottiene dopo la cottura del legno, il cosiddetto liscivio nero, si può ricavare anche il tallolio, costituito per il 48% da acidi grassi e per il 42% da acidi resinici che possono essere separati per distillazione e destinati a vari usi. Sempre nella preparazione delle paste da carta, durante la cottura del legno si ha la formazione di acido acetico e alcol metilico che spesso vengono scaricati con gli effluenti liquidi, creando problemi ambientai i che potrebbero essere evitati recuperando questi prodotti.
La carbonizzazione del legno porta sempre, infatti, alla liberazione di questi due componenti insieme a catrame e ad altre sostanze, tutte utilizzabili industrialmente.
Per idrogenazione o idrolisi della lignina si può ottenere una frazione di sostanze aromatiche e fenoli. Per idrolisi acida del legno si ha fra l'altro, una soluzione di pentosi, esosi, acido formico, acido acetico ecc. I pentosi possono essere convertiti in furfurolo.
Va inoltre ricordato l'ampio campo di utilizzazione della cellulosa da cui si ottengono numerosi derivati, come gli acetati, gli xantati, la carbossimetilcellulosa ecc..
Il materiale lignocellulosico, per la varietà e la ricchezza dei suoi componenti è una risorsa naturale che offre enormi prospettive. Adeguatamente impiegato può fornire la maggior parte delle merci oggi ottenute dal petrolio.
Anche da una cosi rapida rassegna, si può vedere come le materie prime di origine agricola possono rappresentare per l'industria una fonte di approvvigionamento costante, rinnovabile, poco costosa, non esposta a grossi giochi di mercato.
Perché l'industria possa utilizzare al meglio queste risorse che, se anche rinnovabili, non devono essere sprecate, ha bisogno di conoscere profondamente la loro composizione, la loro struttura e la loro disponibilità, la loro potenzialità di impiego.

È necessario che i laboratori delle università, degli enti pubblici, delle industrie sviluppino programmi di ricerca sui prodotti e sottoprodotti agricoli. L'agricoltura, da parte sua deve incentivare l'uso dei suoi prodotti, con colture adeguate, scegliendo per l'utilizzazione industriale piante adatte allo scopo, con caratteristiche particolari, creando ibridi ecc.
Hale nel 1946 concludeva cosi un suo articolo intitolato: The Farm Chemurgic Movement. "Il Farm Chemurgic Movement si pone come obiettivo quello di avere una agricoltura fiorente alla pari e in concorrenza con una industria altrettanto fiorente, entrambe condotte su basi scientifiche e in grado di fornire occupazione a tutti i cittadini".
È ancora oggi un obiettivo da perseguire.

domenica 11 febbraio 2018

L’aria di casa è inquinata, ripulirla riduce anche lo stress



A Shanghai si vive immersi nella nebbia, ma non per normali fenomeni atmosferici: l’aria è irrespirabile e i livelli di guardia per lo smog sono sforati quasi regolarmente. Pensando a questo potremmo credere che i risultati ottenuti da Haidong Kan, docente di Scienze ambientali alla Fudan University di Shanghai, non ci riguardino granché: su Circulation l’esperto ha spiegato come cambiano (in peggio) innumerevoli parametri metabolici a seguito dell’esposizione dei suoi concittadini all’inquinamento fuori e dentro le abitazioni, dimostrando che i filtri antiparticolato possono ridurre le alterazioni e forse proteggere un poco dai danni da smog. Kan ammette che la situazione di Shanghai è disperata (c’è chi parla di “airpocalypse” per questa e altre città cinesi, alle prese con una qualità dell’aria più che pessima) e che i dati raccolti su un gruppo di studenti volontari potrebbero non essere uguali altrove, ma l’accuratezza dei test su sangue e urine dei partecipanti impone una riflessione. Si tratta infatti del primo studio in cui si è andati a verificare gli effetti dello smog utilizzando la metabolomica, facendo cioè complessi esami sui livelli di infiammazione e stress ossidativo ma soprattutto su decine di sostanze coinvolte nel metabolismo, dal glucosio agli aminoacidi, dai grassi agli ormoni. Una mole enorme di dati, che sono stati correlati al grado di inquinamento a cui era stato esposto ciascuno e che dimostrano chiaramente come al crescere dello smog aumentino per esempio i livelli di ormoni dello stress e infiammazione, ma anche l’insulino-resistenza e la pressione arteriosa; ben 97 metaboliti si alterano e tutte le vie metaboliche di zuccheri, grassi e proteine subiscono contraccolpi. Un disastro che può essere almeno parzialmente arginato migliorando l’aria indoor, cioè quella dentro casa (o ufficio).


Il 90% del tempo lo trascorriamo in casa
Considerando che passiamo al chiuso il 90 per cento del nostro tempo, non c’è di che stare allegri; e se è vero che il problema è gravissimo nei Paesi in via di sviluppo, dove l’inquinamento indoor è fra le prime cause di morte, di sicuro non si può ignorare che respirare aria cattiva in casa aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, tumori, malattie respiratorie. Il primo passo per “ripulire” l’aria domestica? Fare attenzione a tutto quel che brucia, come spiega Mannucci: «Caminetti, stufe a legna o a pellet, fornelli a gas se non c’è una buona aerazione, barbecue: tutti producono sostanze volatili dannose e andrebbero usati con parsimonia, arieggiando bene le stanze dopo e tenendo aperte le finestre mentre si cucina. Anche gli incensi da bruciare non sono una buona abitudine; da evitare il fumo di sigaretta, che inquina l’aria anche se si fuma in terrazza perché le particelle si attaccano ai vestiti e vengono trasportate dentro». 


Prodotti per la pulizia
Cautela anche con i prodotti per la pulizia: deodoranti e detergenti contengono composti organici volatili cancerogeni (come la formaldeide rilasciata pure da mobili di truciolato o con finiture di scarsa qualità). «Il pulito non ha odore, i profumi sono “pericolosi”—. Per le pulizie bastano acqua e EcoNano Green semmai acido citrico e percarbonato. Non esistono test per dosare i composti organici volatili in casa, ma cambiando le abitudini possiamo migliorare tanto la qualità dell’aria indoor: contro lo smog esterno tanti si rassegnano a non poter fare niente, ma per ridurre l’inquinamento domestico le armi ci sono eccome». Una, semplicissima, è aprire le finestre. Anche se abitiamo in una strada trafficata: «Basta farlo al mattino presto o alla sera, quando ci sono meno auto in giro, per cambiare e migliorare l’aria interna — dice l’esperto —. Anche molte piante da appartamento possono aiutare, assorbendo le particelle di smog: il verde “tampona” l’inquinamento all’esterno e dentro casa, con effetti evidenti sul benessere. Infine, meglio aumentare il ricambio d’aria evitando gli infissi sigillanti: gli ambienti troppo “impermeabili” sono favorevoli dal punto di vista energetico ma l’aria viziata può danneggiare chi vi abita fino alla comparsa della sindrome da edificio malato. Bisogna trovare compromessi adeguati, per esempio puntando di più sulle finestre a vasistas che consentono di cambiare aria senza influire troppo sulla temperatura interna».


Prodotti per la verniciatura dei muri
Cautela anche con i prodotti per la verniciatura: vernici tradizionali deodoranti e detergenti contengono composti organici volatili cancerogeni (come la formaldeide rilasciata pure da mobili di truciolato o con finiture di scarsa qualità). Meglio scegliere vernici in classe A+ che ti garantiscono sulla bassissima tossicità.
Da alcuni anni trovate in commercio EcoThermo Paint Air che è in grado di decontaminare l'aria con la tecnologia della Ionizzazione passiva, ovvero ottenuta con cristalli di Tormalina inseriti nella vernice. Oltre alle caratteristiche termiche che aiutano ad equalizzare i ponti termici ed evitare la formazione di muffe dovute a presenza di umidità in corrispondenza proprio dei ponti termici.