Lo scorso anno aveva eravao all'inizio dell’anno europeo dedicato alla qualità dell’aria direttamente dalla Green Week 2013, il più grande appuntamento europeo relativamente alle tematiche ambientali organizzato dalla Commissione ambiente dell’Unione.
A quasi un anno dalla Green Week “Aria pulita per tutti” l’Europa, o meglio l’aria che respirano gli europei, è migliorata?
La domanda ce la siamo voluta porre non tanto per verve polemica, quanto piuttosto per entrare nel merito delle parole pronunciate quasi un anno fa dal Commissario Potocnik:
Il capitolo industriale non è tuttavia da sottovalutare: il dramma dell’Ilva di Taranto mostra lentamente le ripercussioni sulla qualità della vita (e purtroppo anche sulla qualità della morte) dei cittadini tarantini (fonte Istat):
Un grafico simile, se affiancato con un’altro che dimostra l’andamento demografico di Taranto (in declino da 10 anni), ci dimostra un dato inequivocabile: respirare aria pulita è uno dei diritti fondamentali dell’uomo.
Nell’ultimo anno l’Europa ha visto l’applicazione di una vera e propria stretta sulla qualità dell’aria, approvando in dicembre un pacchetto di politiche in materia di aria pulita che rappresenta un aggiornamento della legislazione esistente e riduce ulteriormente le emissioni nocive provenienti dall’industria, dal traffico, dagli impianti energetici e dall’agricoltura, proponendosi di limitarne l’impatto sulla salute umana e sull’ambiente:
Tuttavia il rischio è che l’Europa cammini su due binari a velocità differenti: un binario “virtuoso”, costituito da top performer comunitari (spesso performance dovute alla bassa densità demografica, e quindi alla presenza di grandi aree verdi) e da altri paesi da black-list. Molti Stati membri dell’Ue infatti non si sono ancora conformati alle norme comunitarie sulla qualità dell’aria e, in generale, gli orientamenti sull’inquinamento atmosferico dell’Organizzazione mondiale della sanità delle Nazioni Unite non vengono osservati.
Altri paesi invece si sono uniformati alle leggi comunitarie sulle emissioni ma, fondamentalmente, seguono il principio “fatta la legge, trovato l’inganno”: esempio su tutti l’Italia, che ha recepito le normative comunitarie in materia di qualità dell’aria ma è incapace non solo di applicarle, ma anche di cominciare ad entrare nell’ottica di applicarle.
Basti pensare ai blocchi del traffico, alle targhe alterne, ai divieti più fantasiosi che limitano la circolazione nelle città italiane, attanagliate da un traffico pazzesco che è diretta derivazione anche di quei bellissimi “incentivi statali” garantiti fino all’altro giorno al mercato automotive, o di quelle deroghe concesse ai grandi impianti industriali sul territorio nazionale (anche qui viene in mente l’Ilva di Taranto, ma non solo).
A titolo esemplificativo, e per non citare sempre l’italiano inadempiente, buttiamo l’occhio alla città di Parigi, che recentemente somiglia più a Pechino (anche se il livello di inquinamento o molto, ma molto più bassi nella città francese che non in quella cinese). Restando nel Belpaese invece è emblematico il caso di Roma: in occasione del convegno “Roma chiama Europa” dell’Associazione Radicali Roma è stato infatti presentato il dossier “Indagine sulla qualità dell’aria di Roma” realizzato dai militanti dell’associazione Davide Ambrosini, Nicoletta Cartocci ed Angela Capuano.
Il dossier evidenzia in particolare il mancato rispetto della direttiva europea 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio del 2008 relativa alla “qualità dell’aria, ambiente e per un aria più pulita in Europa”: come dicevamo poc’anzi la normativa europea sia stata recepita grazie al decreto 155/2010, ma questo non ha impedito alla Capitale il superamento del benzene oltre il livello di 5 e il dramma del Pm10, che viene superato sia in valore assoluto limite 50 (sino a massimi di 70/72) sia in numero massimo di superamenti limite 35, sino a 40 volte l’anno.
Se a questo aggiungiamo la difficoltà per i cittadini di reperire i dati effettivi sui siti degli enti preposti ai controlli (su tutti l’Arpa Lazio), è chiaro come il “caso italiano”, anche in questo caso, sia un esempio da non seguire.
Earth Hour è, in questo senso, una giornata simbolo che l’Italia dovrebbe celebrare nei restanti 364 giorni dell’anno, superando quella tollerabilità dell’illegalità che è caratteristica delle deroghe alle leggi, dei commissari straordinari, della scarsa trasparenza degli enti pubblici (checchè ci chieda la Convenzione di Aarhus).
Fin troppo facile infatti “spegnere la luce per un’ora” all’anno quando poi si mantengono accesi 24/7 dei mega-server non collegati a nulla nei sotterranei dei palazzi di vecchi enti pubblici a Roma: l’Earth Hour non è la differenza ma la discriminante, non la svolta ma il pretesto, un pretesto che tutti dovrebbero adottare per migliorare la qualità della vita dell’intera società.
L’Europa, a saperlo, è in verità un alleato importante per noi cittadini e non solo il grande bastonatore quando c’è da parlare di conti pubblici, rigore e crescita: gli strumenti legislativi che i cittadini europei hanno per ricorrere a Strasburgo, accertata una violazione in materia ambientale, sono utili e funzionano. Lo dimostra la storia della discarica di Malagrotta, chiusa per ordine dell’Europa dopo anni di battaglie dei residenti, che hanno trovato in Strasburgo l’unico interlocutore attento ai loro problemi.
In quella occasione si sono spese parole
immaginifiche e manifestate le più meravigliose buone intenzioni per
migliorare la qualità dell’aria, posta come tema centrale per tutte le
politiche ambientali dell’Unione, almeno tra il 2013 ed il 2020 (termine
fissato dal Protocollo di Goteborg, che stabilisce proprio al 2020 il
termine ultimo per la realizzazione degli obiettivi europei sulle
emissioni di Co2 ed inquinanti).
Il Commissario Europeo all’ambiente Janez Potocnik
in persona aveva sottolineeato la centralità dell’aria come punto di
partenza fondamentale per il miglioramento e l’implementazione di tutte
le politiche ambientali europee, in qualsiasi settore. A quasi un anno dalla Green Week “Aria pulita per tutti” l’Europa, o meglio l’aria che respirano gli europei, è migliorata?
La domanda ce la siamo voluta porre non tanto per verve polemica, quanto piuttosto per entrare nel merito delle parole pronunciate quasi un anno fa dal Commissario Potocnik:
“Uno dei problemi maggiori è proprio legato all’informazione che viene data ai cittadini, sulla quantità di “notizie” legate all’ambiente ed alle sue problematiche, […] di come permeare il mondo dei social media per raggiungere il più ampio spettro di cittadini possibile.”Il prezzo che i cittadini europei pagano per la scarsa qualità dell’aria è, in termini di vite umane, superiore alle vittime degli incidenti stradali: un dato a titolo esemplificativo, che però rende piuttosto evidente non solo l’importanza di intervenire in materia di riduzione degli inquinanti, ma anche e sopratutto l’esigenza di norme utili a flettere fino a spezzare la dipendenza dei cittadini europei dalle automobili, e delle società energetiche europee dalle energie fossili.
Il capitolo industriale non è tuttavia da sottovalutare: il dramma dell’Ilva di Taranto mostra lentamente le ripercussioni sulla qualità della vita (e purtroppo anche sulla qualità della morte) dei cittadini tarantini (fonte Istat):
Un grafico simile, se affiancato con un’altro che dimostra l’andamento demografico di Taranto (in declino da 10 anni), ci dimostra un dato inequivocabile: respirare aria pulita è uno dei diritti fondamentali dell’uomo.
Nell’ultimo anno l’Europa ha visto l’applicazione di una vera e propria stretta sulla qualità dell’aria, approvando in dicembre un pacchetto di politiche in materia di aria pulita che rappresenta un aggiornamento della legislazione esistente e riduce ulteriormente le emissioni nocive provenienti dall’industria, dal traffico, dagli impianti energetici e dall’agricoltura, proponendosi di limitarne l’impatto sulla salute umana e sull’ambiente:
“[…] l’inquinamento atmosferico continua a essere un ‘killer invisibile’ che impedisce a molte persone di vivere appieno una vita attiva. Le azioni che proponiamo consentiranno di dimezzare il numero di decessi prematuri dovuti all’inquinamento atmosferico, aumentare la protezione offerta ai gruppi vulnerabili (che ne hanno più bisogno) e migliorare la qualità di vita di tutti i cittadini europei.”disse a dicembre il Commissario Potocnik annunciando il pacchetto di misure comunitarie, che si articola principalmente su tre elementi: un nuovo programma per l’aria pulita che permetta di accelerare il conseguimento degli obiettivi posti al 2030, la revisione della direttiva sui limiti nazionali di emissione e una proposta di una nuova direttiva intesa a ridurre l’inquinamento da impianti di combustione di medie dimensioni.
Tuttavia il rischio è che l’Europa cammini su due binari a velocità differenti: un binario “virtuoso”, costituito da top performer comunitari (spesso performance dovute alla bassa densità demografica, e quindi alla presenza di grandi aree verdi) e da altri paesi da black-list. Molti Stati membri dell’Ue infatti non si sono ancora conformati alle norme comunitarie sulla qualità dell’aria e, in generale, gli orientamenti sull’inquinamento atmosferico dell’Organizzazione mondiale della sanità delle Nazioni Unite non vengono osservati.
Altri paesi invece si sono uniformati alle leggi comunitarie sulle emissioni ma, fondamentalmente, seguono il principio “fatta la legge, trovato l’inganno”: esempio su tutti l’Italia, che ha recepito le normative comunitarie in materia di qualità dell’aria ma è incapace non solo di applicarle, ma anche di cominciare ad entrare nell’ottica di applicarle.
Basti pensare ai blocchi del traffico, alle targhe alterne, ai divieti più fantasiosi che limitano la circolazione nelle città italiane, attanagliate da un traffico pazzesco che è diretta derivazione anche di quei bellissimi “incentivi statali” garantiti fino all’altro giorno al mercato automotive, o di quelle deroghe concesse ai grandi impianti industriali sul territorio nazionale (anche qui viene in mente l’Ilva di Taranto, ma non solo).
A titolo esemplificativo, e per non citare sempre l’italiano inadempiente, buttiamo l’occhio alla città di Parigi, che recentemente somiglia più a Pechino (anche se il livello di inquinamento o molto, ma molto più bassi nella città francese che non in quella cinese). Restando nel Belpaese invece è emblematico il caso di Roma: in occasione del convegno “Roma chiama Europa” dell’Associazione Radicali Roma è stato infatti presentato il dossier “Indagine sulla qualità dell’aria di Roma” realizzato dai militanti dell’associazione Davide Ambrosini, Nicoletta Cartocci ed Angela Capuano.
Il dossier evidenzia in particolare il mancato rispetto della direttiva europea 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio del 2008 relativa alla “qualità dell’aria, ambiente e per un aria più pulita in Europa”: come dicevamo poc’anzi la normativa europea sia stata recepita grazie al decreto 155/2010, ma questo non ha impedito alla Capitale il superamento del benzene oltre il livello di 5 e il dramma del Pm10, che viene superato sia in valore assoluto limite 50 (sino a massimi di 70/72) sia in numero massimo di superamenti limite 35, sino a 40 volte l’anno.
Se a questo aggiungiamo la difficoltà per i cittadini di reperire i dati effettivi sui siti degli enti preposti ai controlli (su tutti l’Arpa Lazio), è chiaro come il “caso italiano”, anche in questo caso, sia un esempio da non seguire.
Perchè Earth Hour?
Earth Hour è, in questo senso, una giornata simbolo che l’Italia dovrebbe celebrare nei restanti 364 giorni dell’anno, superando quella tollerabilità dell’illegalità che è caratteristica delle deroghe alle leggi, dei commissari straordinari, della scarsa trasparenza degli enti pubblici (checchè ci chieda la Convenzione di Aarhus).
Fin troppo facile infatti “spegnere la luce per un’ora” all’anno quando poi si mantengono accesi 24/7 dei mega-server non collegati a nulla nei sotterranei dei palazzi di vecchi enti pubblici a Roma: l’Earth Hour non è la differenza ma la discriminante, non la svolta ma il pretesto, un pretesto che tutti dovrebbero adottare per migliorare la qualità della vita dell’intera società.
L’Europa, a saperlo, è in verità un alleato importante per noi cittadini e non solo il grande bastonatore quando c’è da parlare di conti pubblici, rigore e crescita: gli strumenti legislativi che i cittadini europei hanno per ricorrere a Strasburgo, accertata una violazione in materia ambientale, sono utili e funzionano. Lo dimostra la storia della discarica di Malagrotta, chiusa per ordine dell’Europa dopo anni di battaglie dei residenti, che hanno trovato in Strasburgo l’unico interlocutore attento ai loro problemi.